«Das Leben der Erkenntnis ist das Leben, welches glücklich ist, der Not der Welt zum Trotz» (Ludwig Wittgenstein, Tagebucheintrag vom 13.8.16).


«E se qualcuno obietta che non val la pena di far tanta fatica, citerò Cioran (…): “Mentre veniva preparata la cicuta, Socrate stava imparando un’aria sul flauto. ‘A cosa ti servirà?’ gli fu chiesto. ‘A sapere quest’aria prima di morire’”» (Italo Calvino, chiusa di "Perché leggere i classici").


«Neque longiora mihi dari spatia vivendi volo, quam dum ero ad hanc quoque facultatem scribendi commentandique idoneus» (Aulo Gellio, "Noctes atticae", «Praefatio»).


martedì 24 settembre 2013

Ratzinger e Odifreddi

Finalmente svelato il mistero delle dimissioni di Ratzinger da Papa: doveva concentrarsi per rispondere alla lettera-libro di Piergiorgio Odifreddi, Caro Papa, ti scrivo (Mondadori 2011). Qui il resoconto di Odifreddi, che a sua volta contiene il link alla parte della lettera di Ratzinger pubblicata oggi da "Repubblica".
Qui vorrei concentrarmi su un punto della lettera di Ratzinger.
Il passaggio in cui l'ex Papa cita Il gene egoista (1976) di Richard Dawkins e Il caso e la necessità (1970) del Premio Nobel Jacques Monod è commovente. Ratzinger li chiama in causa motu proprio, visto che Odifreddi non li aveva citati (il nome di Monod nel suo libro non compare e quello di Dawkins ricorre fuggevolmente a pagina 7 in una breve lista di atei così atei da essere esclusi da Ravasi dal Cortile dei Gentili: ovvero Odifreddi, Dawkins, Hitchens e Onfray).
Dico "commovente" perché mette in gioco uno stratagemma retorico e una fallacia ben precisi. Tu in cuor tuo sai che la tua teologia è, come direbbe Borges, un ramo della letteratura fantastica, ma non puoi ammetterlo; e allora che fai per difenderti? Dici che lo stesso vale per due delle più potenti obiezioni scientifiche alla tua teologia, ovvero l'algoritmo dell'evoluzione per selezione naturale cumulativa (necessità) delle piccole mutazioni (caso) che funzionano e l'idea che questo meccanismo agisce soprattutto al livello del gene "egoista", che è l'elemento in qualche modo davvero immortale degli esseri viventi, di cui si serve come macchine "fotocopiatrici" e veicoli transitori. Ovviamente, tutto ciò senza entrare nel merito dei dati della biologia molecolare e delle argomentazioni del neodarwinismo: puro parlare a vanvera dalla poltrona del dorato esilio, forse per la strutturale incapacità, connaturata ai più e oggi oggetto di studio, di comprendere la logica stessa delle spiegazioni evoluzionistiche.
Per quanto riguarda Dawkins, forse Ratzinger è stato sviato dalle parole con cui si apriva la Prefazione alla prima edizione del Gene egoista (dal 1989 seguita da una seconda Prefazione per la riedizione ampliata del libro): «Questo libro dovrebbe essere letto quasi come se fosse un libro di fantascienza. Infatti, è stato pensato per stimolare l'immaginazione del lettore. Tuttavia, non si tratta di fantascienza, ma di scienza vera. Anche se è un cliché, "più strano della fantascienza” esprime esattamente il modo in cui io sento la realtà. Noi siamo macchine da sopravvivenza - robot semoventi programmati ciecamente per preservare quelle molecole egoiste note sotto il nome d geni. Questa è una verità che non cessa mai di stupirmi e, anche se la conosco da anni, non riesco mai ad abituarmici del tutto».
Per quanto riguarda Monod, invece, se si va a controllare il contesto del passo sulla comparsa dei tetrapodi citato da Ratzinger, ci si accorge che si tratta della illustrazione esemplificativa di un meccanismo evolutivo - la pressione selettiva sul livello genetico esercitata dall'esplorazione attiva da parte degli animali delle possibilità offerte loro dal repertorio comportamentale specifico - che ormai è un luogo comune nel pensiero neo-evoluzionistico, presente in personaggi tanto diversi, per esempio, come Karl Popper e Daniel Dennett, con quest'ultimo che ne L'idea pericolosa di Darwin (1995) si richiama varie volte a Il caso e la necessità, mentre Popper, che pure cita qualche volta Monod, ci era arrivato per conto proprio prima del 1970.
Insomma, l'argomento di Ratzinger al riguardo è una variante dello stratagemma ben noto del "Tutti colpevoli, nessun colpevole", anche se in ogni caso siamo su un altro pianeta rispetto all'aria fritta di Bergoglio. Ci voleva.

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