«Das Leben der Erkenntnis ist das Leben, welches glücklich ist, der Not der Welt zum Trotz» (Ludwig Wittgenstein, Tagebucheintrag vom 13.8.16).


«E se qualcuno obietta che non val la pena di far tanta fatica, citerò Cioran (…): “Mentre veniva preparata la cicuta, Socrate stava imparando un’aria sul flauto. ‘A cosa ti servirà?’ gli fu chiesto. ‘A sapere quest’aria prima di morire’”» (Italo Calvino, chiusa di "Perché leggere i classici").


«Neque longiora mihi dari spatia vivendi volo, quam dum ero ad hanc quoque facultatem scribendi commentandique idoneus» (Aulo Gellio, "Noctes atticae", «Praefatio»).


sabato 28 ottobre 2017

Generare parole oscure

Il libriccino di Massimo Cacciari sulla Madonna (Generare Dio, Il Mulino 2017, 105 pp., € 12) lo racconterei così. C’è un raffinatissimo e coltissimo filosofo di cui non è chiaro il rapporto con la religione cristiana (ha origini operaiste ma ama l’esegesi più dei preti, e non si capisce a quale titolo, e soprattutto a quale scopo, la coltivi con tanta insistenza), che tuttavia padroneggia meglio di un gesuita, di uno gnostico e di un mistico messi insieme. Essendo famoso, costui ha assoluta necessità di essere perennemente presente nelle librerie con opere fresche, perché qualcosa la vende a prescindere, anche se quasi nessuno capisce quello che scrive (nemmeno amici e colleghi come Vattimo, che pure non brilla per la chiarezza). Dovendo questa volta trovare un modo per rifilare ai lettori-consumatori le sue sterminate e inutili conoscenze della letteratura religiosa, e non avendo niente di davvero preciso e interessante da proporre, stabilisce d’imperio che alcune “icone” di Maria, così come sono dipinte nelle annunciazioni, nelle Madonne con Bambino, nelle crocifissioni, nelle deposizioni e nelle pietà da Masaccio, Simone Martini, Lippo Memmi, Piero della Francesca, Beato Angelico, Andrea Mantegna, Giovanni Bellini, Roger van der Weyden e qualcun altro, esprimono qualcosa di straordinariamente significativo per l’Evo nostro, cioè per l’Occidente, che poi è anche l’Età del Figlio (scritti così), in contrapposizione, per esempio, all’immagine astratta, asessuata e impersonale che di Maria aveva la gnosi. Questo contenuto misterioso naturalmente non è mai chiarito, e tuttavia esso c’è anche oltre le intenzioni dei pittori (cfr. p. 43: “sia consapevole o no chi la dipinge”, in riferimento, nel caso specifico, all’”icona del bimbo”), perché quello che conta è il commento ultra-speculativo del Nostro, il quale promette una mariologia filosofica nelle vesti di una “fenomenologia dell’invisibile nella rappresentazione sensibile di Maria” (p. 11).
Ora, uno dei problemi principali di questa prosa altisonante e grondante di latinorum, graecorum ed heideggerorum è che non si capisce quale sia il patto semantico stipulato con il povero lettore. Mi spiego. Se io leggo il Gesù di Ratzinger, non ho alcun problema: l’autore è onesto e mi mostra chiaramente le sue carte, dicendo che egli crede nell’assoluta verità storica delle cose di cui parla (nascita da una vergine, miracoli, morte e resurrezione di Cristo, per dire), per cui capisco perfettamente quello che vuole comunicarmi, anche se poi magari non condivido una parola. Con Cacciari, invece, non c’è niente di tutto ciò: egli cita con padronanza sconcertante i vangeli canonici e quelli apocrifi, i mistici, i teologi, più Dante e qualche poeta contemporaneo particolarmente ispirato, ma quando nomina con disinvoltura gli evangelisti, gli apostoli, Maria, Sophia, il Figlio, il Signore, Dio, il Padre, l’Uno, il pleroma ecc., fino all’Ombra che non vela ma rivela, cui è dedicato un intero capitolo-supercazzola, non chiarisce nemmeno di striscio quali siano le sue regole del gioco semantico. È Cacciari un realista assoluto? È un realista interno? È allegorico? Parla per figure concettuali para-hegeliane? Il “Da-sein” della donna Maria (p. 91), “Madre di tutti gli essenti” (p. 94), ha uno statuto ontologico interno alle icone e al loro senso o è inteso in senso heideggerianamente forte? Non si sa. O, per lo meno, qui non è mai detto.
Oppure mi è sfuggito.


P. S. Uno dei tratti dello stile di Cacciari è l’insostenibile seriosità della sua “voce”. Mai un cedimento all’ironia, mai una battuta di spirito che smorzi l’incanto dell’esegesi speculativa, perché per lui tutto, nella mitologia e nell’iconografia cristiane, è profondissimo e decisivo per il destino dell’Occidente e per il suo rapporto col divino. Eppure, anche nell’ambito del suo tema c’è qualche nota curiosa e un po’ stonata. Per esempio, mi sarebbe molto piaciuto vederlo alle prese con la descrizione dell’annunciazione di Lorenzo Lotto che sta a Recanati: il Dio sulla nuvola che sembra stia preparandosi a un tuffo, la faccia di Maria che sembra dire, rivolta al pubblico, “Scusate, ma questi che vogliono da me?”, i capelli del messaggero della serie “Sono arrivato in moto” e il gatto che schizza via incazzatissimo, come sarebbero entrati nello schema interpretativo di Cacciari?

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