«Das Leben der Erkenntnis ist das Leben, welches glücklich ist, der Not der Welt zum Trotz» (Ludwig Wittgenstein, Tagebucheintrag vom 13.8.16).


«E se qualcuno obietta che non val la pena di far tanta fatica, citerò Cioran (…): “Mentre veniva preparata la cicuta, Socrate stava imparando un’aria sul flauto. ‘A cosa ti servirà?’ gli fu chiesto. ‘A sapere quest’aria prima di morire’”» (Italo Calvino, chiusa di "Perché leggere i classici").


«Neque longiora mihi dari spatia vivendi volo, quam dum ero ad hanc quoque facultatem scribendi commentandique idoneus» (Aulo Gellio, "Noctes atticae", «Praefatio»).


sabato 9 dicembre 2017

DUE NUMERI PRIMI SOLITARI




È da tempo che la faccia del solitario di Providence e quella del solitario de l’Aja mi appaiono affiancate nell’immaginazione, forse perché la loro vaga somiglianza allude ad altre affinità, più profonde e significative. Non è facile, infatti, resistere al fascino di questi due sognatori di universi metafisici (e in quanto tali non a caso entrambi molto cari a Borges) che tanto più abitarono i loro mondi radicalmente alieni, rispetto alla tradizione occidentale dominante, quanto più il mondo reale in cui vissero li tenne ai margini, condannandoli, anche con il loro stessa aiuto, a una solitudine quasi assoluta e senza rimedio. Certo, le loro fantasie cosmogoniche si pongono agli antipodi della scala della razionalità, se supponiamo che questa vada dalla pura irrazionalità a una (presunta) dimostratività “euclidea”: secondo la ben nota gnoseologia dello stesso Spinoza, il cui sistema metafisico è un frutto intellettualistico quintessenziale dell’astrazione logico-filosofica, la mitologia di Lovecraft è un prodotto del livello più delirante di un’immaginazione mitopoietica patologicamente iperattiva. Eppure, in senso squisitamente borgesiano, si tratta pur sempre di due capitoli della letteratura fantastica e, forzando le cose fino allo scandalo, l’inumano e primordiale Cthulhu, con la sua forma che ricorda vagamente un’immensa e voracissima piovra, è una possibile raffigurazione quasi fumettistica del Dio di Spinoza, pensato come un’infinita sostanza indeterminata costituita da infiniti attributi che si dispiegano in modo tentacolare in altrettanti modi infiniti, ciascuno dei quali si increspa in un’infinità di modi finiti (noi esseri umani non essendo che increspature finite riconducibili, attraverso i modi infiniti dell’intellezione e del movimento, ai due attributi infiniti del pensiero e dell’estensione).
Ora, poiché è noto che Lovecraft ha accompagnato la propria produzione letteraria con vari interventi saggistici, alcuni dei quali di natura squisitamente filosofica, mi sono chiesto se per caso si fosse mai confrontato con Spinoza. Ebbene, cercando una risposta nel Mammut Newton Compton delle opere di Lovecraft, ho tovavo una cosa molto interessante. In un saggio dal titolo “Alcune cause di autoimmolazione. I motivi per cui gli esseri umani si sottomettono volontariamente a situazioni spiacevoli” (e si noti l’ironia del titolo, perfettamente consonante con il tema di questa nota), incluso nella sezione “Saggi sulla visione del mondo”, ci sono le uniche tre occorrenze del nome di Spinoza e tutte e tre si esauriscono nel giro di mezza pagina. Ma la cosa veramente notevole è il modo in cui Lovecraft parla di Spinoza, perché l’impressione vaga di un’affinità elettiva vi trova una sorprendente conferma. Lovecraft inizia il suo saggio sulle motivazioni dell’agire umano, con particolare riferimento all’apparentemente paradossale comportamento improntato al masochismo e all’autolesionismo, con un excursus storico che dalla psicologia platonica arriva fino alla psicoanalisi freudiana; ed è nel corso di questa breve storia della psicologia dinamica che Lovecraft menziona Spinoza, cogliendo in modo acuto tutta la modernità delle sue analisi psicobiologiche contenute nell’Etica. Ma la cosa ancora più interessante è che in tal modo Lovecraft, alla luce soprattutto delle pagine successive del saggio, nelle quali discute la teoria degli “istinti” e delle “emozioni” di Mac Dougall, anticipa di oltre settant’anni il grandissimo omaggio reso a Spinoza da Antonio Damasio nel suo studio neuroscientifico delle “emozioni” e dei “sentimenti” (inutile aggiungere che del saggio di Lovecraft non v’è traccia in Alla ricerca di Spinoza).
Ed ecco tutto lo Spinoza di Lovecraft:

«Spinoza superò di gran lunga Descartes in profondità e razionalità di vedute, avvicinandosi, nel suo giudizio sulle motivazioni umane, alle concezioni più moderne. Comprese che gli istinti primitivi sono desideri di conservare ed espandere l’individuo, e scoprì che essi subiscono l’influenza di emozioni più complesse. Perciò, ne dedusse che ad un terzo livello (pensiero – emozione – istinto), le azioni sono ispirate dal naturale impulso a sopravvivere che nasce nell’uomo, il quale opera attraverso canali diversi e talvolta paradossalmente contraddittori, derivando d’altra parte da un’infinita catena causale che parte dalle condizioni originarie del cosmo. Spinoza, che tornò alla saggia concezione ellenica della felicità come lo scopo della vita umana, può essere considerato (nonostante il suo debito con Descartes) come il vero padre delle idee moderne relative ai valori e alle motivazioni dell’uomo. Nella nostra civiltà, Hobbes ha sottolineato in maniera simile la predominanza dell’elemento costituito dalla volontà di sopravvivenza, o interesse personale, tra le motivazioni umane, anche se gli mancavano del tutto la sottigliezza e la profondità di uno Spinoza».

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.