«Das Leben der Erkenntnis ist das Leben, welches glücklich ist, der Not der Welt zum Trotz» (Ludwig Wittgenstein, Tagebucheintrag vom 13.8.16).


«E se qualcuno obietta che non val la pena di far tanta fatica, citerò Cioran (…): “Mentre veniva preparata la cicuta, Socrate stava imparando un’aria sul flauto. ‘A cosa ti servirà?’ gli fu chiesto. ‘A sapere quest’aria prima di morire’”» (Italo Calvino, chiusa di "Perché leggere i classici").


«Neque longiora mihi dari spatia vivendi volo, quam dum ero ad hanc quoque facultatem scribendi commentandique idoneus» (Aulo Gellio, "Noctes atticae", «Praefatio»).


mercoledì 27 dicembre 2017

UN LAZZARO DELLA LETTERATURA


Uno dei casi letterari italiani del 2017 si potrebbe definire un Lazzaro letterario, perché si tratta della vera e propria resurrezione, grazie all’opera negromantico-editoriale di alcuni uomini di buona volontà, di un romanzo italiano nato e morto esattamente 40 anni fa (non ci si stupisca delle metafore cristiane: almeno, non prima di aver conosciuto la parabola dell’autore, passato da un anticlericalismo lucido e razionalista a una sorta di bigottismo paranoico e delirante). Quello che colpisce, tuttavia, è il percorso planetario attraverso cui si è arrivati alla riedizione Frassinelli, a settembre, di Le venti giornate di Torino di Giorgio De Maria (1924-2009). A riscoprire il romanzo, pubblicato nel 1977 dalle Edizioni Il Formichiere e forse dimenticato persino dal suo stesso autore (che in seguito non ha più scritto altri romanzi), è stato uno studioso australiano, Ramon Glazov, che lo ha ha tradotto e introdotto per un’edizione americana, uscita nel febbraio di quest’anno per i tipi del gruppo Norton. Ma perché gli americani si sono interessati a questo romanzo breve italiano di 40 anni fa, di cui quasi nessuno in Italia si ricorda? Semplice: perché il nostro presente modifica ogni volta la nostra percezione del passato che, come un lago che si prosciuga o un mare che si ritira, mostra aspetti sempre nuovi e ci fa scorgere, per esempio, dei “precursori” di fenomeni che oggi dominano la nostra vita. Nel romanzo di De Maria, infatti, c’è una straordinaria invenzione narrativa, la Biblioteca, collocata in un’ala del famoso Cottolengo di Torino, che anticipa in modo impressionante (senza alcun bisogno di Internet) la dinamica socio-psicologica che sta alla base dei “social media”, e in particolare di Facebook. Non solo, ma il romanzo è pieno di echi che provengono da Poe e Lovecraft e per molti versi ricorda Stephen King (The Shining è dello stesso anno e le somiglianze di famiglia sono numerose!), e già questo basta per capire l’interesse degli americani. Attraverso una serie di passaggi ulteriori, poi, Frassinelli contatta nel novembre 2016 lo scrittore, traduttore e consulente editoriale Giovanni Arduino, per proporgli la curatela di una riedizione del romanzo in Italia. Arduino firma così una densa e bella postfazione per parole chiavi “in rigido ordine alfabetico”, come dice lui stesso, e in più realizza un breve e delizioso ebook, Il diavolo è nei dettagli. La storia de ‘Le venti giornate di Torino’, in cui racconta tutta questa incredibile vicenda, fornendo anche un ritratto drammatico della vita di De Maria, morto, come ricorda la figlia, “mezzo barbone, tutto matto, alcolizzato e distrutto dall’Halcion”.
Non direi altro su questo romanzo, dalla cui lettura si esce turbati, perché parla di morti misteriose in una Torino spettrale e di una psicosi collettiva che ci interroga ancora (la Biblioteca “social” ante litteram), ed è percorso da un senso di indicibile minaccia lovecraftiana. 
Vorrei solo sottolineare la cosa che più mi ha colpito di tutta questa vicenda. Arduino ci informa delle amicizie importanti di De Maria - Umberto Eco, Italo Calvino ed Elémire Zolla. Con i primi due ha addirittura collaborato per alcuni lavori, eppure, per esempio, nel Meridiano delle “Lettere 1940-1985” e nei due tomi dello sterminato Meridiano dei Saggi di Calvino non c’è alcuna menzione del nome di De Maria, che pure nel suo romanzo sembra rendere omaggio almeno a Marcovaldo e alla Giornata di uno scrutatore. Non solo. Nel terzo capitolo del romanzo, quello in cui l’io narrante dell’investigatore improvvisato e improvvido racconta la sua visita ai resti della Biblioteca, mi pare di scorgere un oscuro (e sfottente?) riferimento all’amico Eco: “Trovai accanto a un titolo di Liala quello di un trattato di semiologia”. La Biblioteca di De Maria riecheggia sicuramente quella di Borges e anticipa di pochissimi anni quella dell’abbazia di Eco, eppure non ricordo alcun riferimento di Eco a De Maria, a parte i riferimenti contenuti nella prefazione a M. Straniero-E. Jona-S. Liberovici-G. De Maria, Le canzoni della cattiva coscienza, Bompiani 1964 (stampata anche in Apocalittici e integrati, «I suoni e le immagini - La canzone di consumo»).
Insomma, è risorto un romanzo “maledetto” di un autore a dir poco strambo, dimenticato un po’ da tutti per troppo tempo.


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